E’ recentissima la notizia che una persona senza fissa dimora che soffriva di depressione per la separazione dalla moglie ha confessato l’omicidio di un passante, dicendo di aver studiato le persone che camminavano lungo il marciapiede a Torino per 20 minuti prima di pugnalare a morte quello che dimostrava essere più felice.
Vale la pena dedicare un po’ di tempo per riflettere su questa notizia, non solamente per la sua brutalità: il mondo è pieno di zone di guerra che ogni giorno forniscono ai media una litania di notizie terribili. Il fatto che l’omicidio sia avvenuto qui, a Torino, in Italia, è solo qualcosa che ricorda alla comunità in cui viviamo attualmente che eventi terribili accadono ovunque, non importa dove e quando.
È facile giudicare questo tipo di notizie in una prospettiva non completa. Siamo tentati di essere guidati dalle emozioni; d’altro canto, i politici tendono ad usare queste notizie per attirare l’opinione pubblica in modo da poter guadagnare più consensi in vista delle elezioni e così via.
Cercando di non giudicare né la persona che ha ucciso uno sconosciuto che stava semplicemente camminando per strada e, allo stesso tempo, cercando di non aggiungere parole inutili allo sterile dibattito sulla “sicurezza interna”, vorremmo sottolineare che da questa storia emergono due concetti base. Entrambi sono paradigmatici per la nostra società: paura e felicità.
Se da un lato paura e felicità sono due degli stati che la natura ci permette di sperimentare, in qualche modo la percezione che abbiamo di questi concetti si è rivelata spesso molto fuorviante per l’intera società.
Alla ricerca di una forma di felicità che qualcun altro ci ha insegnato a considerare l’unica, quella giusta, spendiamo molto tempo a prevenire ogni forma di paura. Facendo così, non raggiungiamo la felicità mentre contemporaneamente ingrandiamo la paura. Meglio: viviamo bloccati in una terza dimensione, che non è né la dimensione della gioia, né l’esperienza della paura.
Quindi, tornando a queste notizie orribili: giornali, politici, opinion leader rivendicano una maggiore sicurezza, sottolineando che le persone ed i cittadini vivono ormai in una “paura costante”.
Promuovere e diffondere la paura, una paura proiettata, costruisce una società disconnessa e individualista, basata su comportamenti egoistici, sull’incertezza delle regole sociali poiché l’unica regola è, in definitiva, una sorta di senso di autodifesa. In altri termini: è importante capire e far prevalere ad ogni costo ciò che è giusto per me stesso, non importa cosa significhi per gli altri. Non importa l’impatto che i miei sentimenti, i miei atti, hanno sulle persone.
In un certo senso, potremmo dire che viviamo letteralmente l’era dell’auto-difesa, della difesa del “sé”. Mettiamo molto impegno nel difenderci da ogni tipo di interazione col mondo “esterno”, non permettendoci di esplorare chi siamo veramente.
Cediamo quindi ad una o più scorciatoie offerte dal modo di pensare dominante, per poi passare la nostra vita a temere una serie di cose che non accadranno mai ma, dal momento che potrebbero accadere, esigono i nostri sforzi.
Costruiamo muri, escludiamo, pensiamo di proteggerci chiudendo le nostre case con le porte blindate, telecamere, allarmi, giriamo con lo spray al peperoncino in tasca e siamo attratti dall’idea di sviluppare capacità di difesa personale, sosteniamo il processo legislativo di legittima difesa e la legittimazione del possesso di armi per uso privato.
Ma, se siamo così devoti alla preservazione del sé, perché, come società, siamo così infelici? E perché la felicità può essere così inquietante per qualcuno? Al punto da diventare motivo di omicidio?
Possiamo piacere o no: agiamo e viviamo come specchi. Rispecchiamo la nostra natura interiore e le nostre convinzioni attraverso l’interazione con gli altri.
È ciò che sperimentiamo continuamente sul tatami: quando investiamo il nostro tempo nel comprendere noi stessi, per aumentare la consapevolezza sul nostro comportamento, mettendo alla prova i nostri valori, il modo in cui li incarniamo davvero, qualcosa cambia all’interno. Qualcosa impatta anche sulle nostre relazioni.
Allo stesso tempo, quando viviamo situazioni spiacevoli nelle nostre relazioni e abbiamo il coraggio di chiederci se ciò che non ci piace in questo, nasce dal nostro modo di pensare, di agire e di reagire, abbiamo la possibilità di cambiare in modo efficace.
Scoprire lentamente che dare alle situazioni che viviamo le etichette di paura e felicità non è ciò che paura e felicità sono realmente. E che nella maggior parte dei casi siamo così spaventati da essere davvero felici che preferiamo una vita immersa in una felicità artificiale che non ci appartiene davvero, bloccata dalla paura, vivendo da frustrati infelici.
Possiamo sempre ricordarci della grandezza e della bellezza che incarniamo, lavorando a pulire il nostro specchio quotidianamente.
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